Errori individuali, confusione generale, amnesie collettive. Non era Marco Zaffaroni il male del Cosenza, non era il tecnico milanese il limite caratteriale, tecnico e tattico dei Lupi. Così come non era colpa del tecnico esonerato la discesa agli “inferi” dei rossoblù. Un primo dato, l’abbiamo acquisito: Zaffaroni era, è innocente. Ha pagato, a caro prezzo, colpe non sue. Ha pagato, con l’esonero, la svogliatezza, la disattenzione, l’incapacità, la presunzione di calciatori che, determinando l’allontanamento di Zaffaroni, hanno dimostrato di essere, anche umanamente, persone di poco valore.
Che colpe può avere Zaffaroni, se gente come Anderson, Palmiero, Carraro, Corsi, Tiritiello, Rigione, Venturi stanno dando e, hanno dato, meno di quanto ci si aspettava? E’ vero, alcuni sono arrivati a Cosenza, non con l’etichetta di campioni ma di gente di categoria. Gente abituata a lottare, a conoscere la B, a mettersi al servizio della squadra, ad assumersi la responsabilità di esserci, di fare spogliatoio. Non per senso di appartenenza, non per amore della maglia ma, almeno, per dovere/piacere professionale. Ha pagato Zaffaroni. Per tutti.
Come, ora, da Pordenone, la “croce” è passata sulle spalle di Roberto Occhiuzzi. Oggi, contro il Pisa, in un match che, almeno sulla carta, era una gara proibitiva per i Lupi, il Cosenza, ha fatto di tutto per “consegnarsi” ai toscani che, gol a parte (due regali prenatalizi, ndc) non ha dimostrato di essere più forte. No, ha solo dimostrato di essere più squadra. Una squadra più furba, più cinica, più determinata. Ed è così, solo così che provo a raccontare la quarta sconfitta consecutiva del Cosenza.
Sempre più tristemente quart’ultimo, con appena 16 punti e con il Crotone che ha fatto “pace” con i gol, la vittoria e i punti. Provo a raccontare Cosenza-Pisa, concedendo, anche con l’utilizzo di una fantasiosa e inverosimile arringa difensiva, a chi è sceso in campo una serie di attenuanti generiche: giocatori schierati in posizioni a loro poco congeniali, calciatori entrati in campo stringendo i denti. No, nemmeno il più sofisticato tra i legali, riuscirebbe a far assolvere questo Cosenza. Che, ancora una volta, si è dimostrato di essere piccolo, fragile, impaurito, confuso, senza carattere, senza coraggio e senza, calcisticamente parlando, un minimo di rispetto per quella casacca che indossa.
E’ troppo facile prendersela con Zaffaroni, puntare il dito contro Occhiuzzi, sparare a zero contro il diesse Goretti e “maledire” Eugenio Guarascio. E’ troppo facile, è troppo comodo, è troppo semplice. La verità è che, in questa squadra, è arrivata gente che, non si sa bene per quale misterioso e indecifrabile motivo, sta consapevolmente dando al di sotto del minimo sindacale, gettando all’aria un’occasione. Quella di usare Cosenza e il Cosenza, come trampolino di lancio. Come vetrina, come palcoscenico. Cosenza-Pisa è stata una partita in cui i rossoblù hanno fatto di tutto e di più per far festeggiare la capolista. “Prego, mettetevi comodi. Facciamo tutto noi. Godetevi il pomeriggio e il primato, rilassatevi”.
Ed è andata esattamente così. Come lo stesso stava succedendo a Pordenone. Contro una squadra che, seppur ultima in classifica, con appena 8 punti in classifica, ha dimostrato di crederci, di voler lottare, di giocare con il sangue agli occhi. Il Cosenza, invece, non gioca, non entusiasma, non crede, non onora la maglia. E, quel che è peggio, non ha rispetto dei colori, della città, della tifoseria, del proprio datore di lavoro e, di chi, questi calciatori li ha voluti portare a Cosenza. Il giorno di Santo Stefano, il Cosenza andrà a Cittadella. Speriamo non in gita. Tre giorni dopo, il 29, si giocherà di nuovo. Al “Marulla”, arriverà l’Ascoli.