Alla fine Guarscio è riuscito a raccogliere quello che ha seminato in estate. A partire da come ha scientemente deciso quali erano le sue priorità per questa stagione. E quando sono arrivati i 4 punti di penalizzazione è stato chiaro sin da subito, almeno a noi, che la sua priorità quest’anno non era il Cosenza dei suoi tifosi e di tutti noi che cerchiamo di raccontarlo tenendo da parte l’amore che abbiamo verso i colori rossoblù, ma che non deve offuscarci la mente nel momento in cui ci mettiamo a scrivere.
Abbiamo scoperto che esiste un creditore che ha pignorato il conto del Cosenza calcio per mezzo milione di euro, ma non ci è dato sapere chi fosse e perché avanzasse un credito così cospicuo. Nonostante le scadenze federali e con gli introiti della Lega della stagione precedente ha deciso di pagare altri debiti invece di pagare l’Erario per come dovuto, addossando la colpa all’amministratrice pro tempore, come se questa avesse la libertà di disporre di un bene che era suo e sul quale non poteva intervenire per le questioni giudiziarie che lo coinvolgono ancora oggi, pensando ai cosentini come stupidi creduloni.
E mentre queste azioni iniziavano a portare al meno 4 in classifica ha iniziato con la solita strategia a smantellare la squadra dell’anno precedente, affidandosi questa volta a due azioni di distrazione di massa come l’ingaggio di un DG di provata esperienza come Beppe Ursino e, soprattutto, al colpo a sorpresa dell’inutile riscatto di Tutino, operato solo per rivenderlo al migliore offerente, invece che utilizzarlo per costruirci intorno una squadra che avrebbe potuto portare in alto il buon nome della nostra città.
Ha ingaggiato un nuovo DS senza alcuna esperienza come Delvecchio, che si è dimostrato incapace di allestire una squadra degna di competere in un campionato di Serie B, mai di così basso livello tecnico come quest’anno.
Ha scelto un tecnico come Alvini che non è stato capace di battere i pugni sul tavolo come andava fatto, quando ha valutato la pochezza tecnica dei calciatori a disposizione, dai quali ha tratto il massimo nelle prime giornate, salvo poi perdersi man mano che le altre squadre entravano in forma. Ha preferito fare l’aziendalista e diventare il bersaglio delle critiche, prendendo schiaffi metaforici in faccia, per colpe di certo non sue. Avrebbe dovuto fare come Ursino, che quando ha visto la sua brillante carriera andare in fumo nei pochi mesi in cui ha fatto la bella statuina, ha preferito farsi da parte senza alcuna spiegazione.
Non c’è che dire quello di Guarascio è stato l’ennesimo capolavoro, stavolta però all’incontrario, perché non ha raccolto con un minimo investimento, il massimo per il suo tornaconto, anzi stavolta ha dovuto scontrarsi con la contestazione della tifoseria, molto più feroce che in passato. Contestazione alla quale ha contrapposto azioni che di volta in volta hanno alzato il livello di esasperazione della gente alla quale ha imposto aumenti sconsiderati dei biglietti popolari, o perquisizioni indiscriminate agli ingressi di uno stadio, sempre più fatiscente e la cui sporcizia è stato il suo costante biglietto da visita. La pulizia della propria casa è lo specchio di chi ci abita è in oltre cinquant’anni di frequentazione, non lo avevamo mai visto così sporco come quest’anno.
Tutte queste azioni hanno portato alla retrocessione di oggi, una retrocessione che porta il nome della sua proprietà, dei suoi amministratori, dei suoi tecnici e dei suoi calciatori, che non sono stati neanche in grado di retrocedere a testa alta, relegando per mesi e mesi, il nome della nostra città all’ultimo posto. A nulla valgono le lacrime di coccodrillo di oggi o le dichiarazioni di facciata del sindaco di Cosenza Franz Caruso che più volte si è fatto abbindolare dalla coppia Guarscio-Scalise con le loro false delucidazioni sulla cessione della società.
Ora non vi resta che sparire al più presto, perché il tempo della notorietà attraverso il calcio è finito. È tempo di trovarsi un altro hobby e lasciare al Cosenza e a noi cosentini l’opportunità di rinascere con il nostro orgoglio, la nostra fierezza, sicuri che non ci faremo più incantare dall’ennesimo imbonitore che passa tra il Crati e il Busento, perché siamo stanchi di subire l’arroganza di chi non si degna neanche di dare quelle spiegazioni dovute dopo avere realizzato un simile scempio.